Qui si voleva fare il miglior vino del mondo

Il mio viaggio in Val d’Orcia, un mese or sono, è stato fatto apposta per andare a vedere la storia di una rinascita, che mi ha lasciato di stucco. Quindici anni fa, a Castiglione d’Orcia, arrivò un imprenditore di successo, Pasquale Forte, che aveva un forte desiderio di tornare alla terra. Così acquisì un podere e con una squadra di lavoro iniziò a piantare viti di sangiovese e non solo, e a pensare come potesse fare il miglior vino del mondo. Una nuova sfida, quasi a voler pareggiare i suoi successi nell’elettromeccanica. Però la vera innovazione, qui, è stata quella che si dice un "ritorno al futuro", fino a sposare le leggi della biodinamica, ma senza l’occhio dell’ideologia che assolutizza sempre tutto. Se andate a fare visita nel suo podere, vi colpirà scoprire come la vite che deve fare il miglior vino del mondo, necessita di un ecosistema, dove tutto serve a rivitalizzare un terreno. Quindi gli animali, il campo di compostaggio per fertilizzare i terreni, la sperimentazione delle viti, che devono cercare linfa in profondità, il laghetto. Tutto serve affinché un sistema naturale ricominci quel processo di scambi continui. E cosa c’entra con il vino? «Se io ho dato vita al suolo - risponde Pasquale Forte - il terreno si ossigena, non è stressato, e gli elementi che concorrono alla formazione del grappolo sono più completi, più ricchi». Beh, quando si esce da questa visita, dopo aver visto i maiali di cinta senese, le chianine, i polli e gli animali di bassa corte che ripopolano quello che una volta era l’antico podere contadino toscano, si va via col senso di aver appreso qualcosa. Ma usciti di lì dove si va? A Rocca d’Orcia, in un borgo del 1200 che ha una storia importante se pensiamo che qui, nel 1207, è nata la carta della libertà, che ha fissato le regole del vivere civile. Quarant’anni fa, in questo borgo raccolto e fascinoso, chiuse l’ultimo negozio e così Pasquale Forte ha scelto di ridare vita anche a una socialità. Oggi Rocca d’Orcia è uno spettacolo: ci sono due negozi, uno pieno di cose buone, anzi buonissime, da acquistare (si chiama Perdiquà) attiguo a un’osteria che porta il nome di Perillà. Poi c’è un negozio di artigianato toscano, molto raffinato, e presto ci sarà un hotel, con un altro ristorante, dalla cui terrazza si vede un panorama mozzafiato. A partecipare a questo progetto c’è un team di giovani, come il cuoco Antonello Sardi, che m’ha fatto la miglior pappa al pomodoro dell’anno. Ma qui si assaggiano anche i salumi tratti dalla carne dei maiali di cinta del Podere, la trippa ai porri, la guancia di vitello con crema di cavolfiore e funghi e un gelato al miele della Val d’Orcia che è uno spettacolo. Se volete poi bere un sorso di birra locale, andate a San Quirico d’Orcia, nell’omonimo birrificio, dove si producono birre ad alta fermentazione non pastorizzate né filtrate, realizzate solo con cereali biologici della Val d’Orcia. In omaggio al fiore di questa terra, la Blonde Ale Iris, dal profumo fresco e dalle note floreali e la Giulitta, con note di cereali tostati, frutta secca e datteri, che al palato si rivela morbida e corposa. Bisogna partire subito, anche per vedere come la ricchezza del nostro Paese, in momenti di crisi, possa essere valorizzata con successo. 
avvenire.it
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